Il movimento NO TAV è sottoposto in questo momento a forti pressioni politiche, mediatiche, poliziesche e giudiziarie. Non solo per i grandi interessi che contrasta, ma anche per la solidarietà che raccoglie. Ben oltre il treno veloce, la bandiera NO TAV è per molti oggi una bandiera di riscossa.
Se questo ci dà la forza di resistere, la situazione attuale dovrebbe essere anche lo stimolo a riflettere sulle prospettive. Per vincere, il movimento deve travalicare la Valle, ma allo stesso tempo per favorire e incontrare un movimento generale deve tener duro in Clarea e sul territorio valsusino, continuando e affinando l’ostilità verso il cantiere e l’inospitalità verso chi lo fa funzionare.
Nella battaglia contro il TAV Torino-Lione si è arrivati a lanciare delle campagne di lotta specifiche, in una fase in cui il movimento non può più limitarsi a rispondere alle mosse del nemico, ma deve saper prendere l’iniziativa. È senz’altro corretto concentrarsi sui sostenitori politici del TAV, sulle truppe di occupazione e sulle ditte che lavorano o lavoreranno al cantiere. Ma c’è un altro aspetto che non possiamo trascurare: il rubinetto finanziario. Senza finanziamenti quest’opera non si fa.
La storia dell’Alta Velocità in Italia (da TAV S.p.A a Infrastrutture S.p.A) dimostra che i cosiddetti capitali privati non si sono mai visti, trattandosi in realtà di prestiti bancari garantiti dallo Stato. La nuova architettura normativo-finanziaria messa a punto negli ultimi anni non farà che aumentare il peso delle banche nel grande affare del TAV. Una campagna contro le banche implicate nel TAV potrebbe indebolire la compagine dei devastatori e collegherebbe in modo ancora più diretto le ragioni del movimento alla crescente insofferenza verso un sistema che stritola ogni giorno di più i poveri. In futuro ci sarà modo di prepararsi bene – con la documentazione adeguata – a una simile campagna.
Ciò che invece possiamo fare fin da subito è integrare la campagna contro le ditte con le pressioni nei confronti di chi le finanzia.
Se per la campagna contro le ditte collaborazioniste della Valle il movimento deve trovare in se stesso le proprie forze, diverso ragionamento va fatto per la CMC, colosso delle costruzioni che dovrà portare uomini e mezzi in Clarea.
Dal TAV in Valsusa alla base militare USA Dal Molin, dalle infrastrutture per i missili di Sigonella all’ampliamento di Camp Derby, le ragioni per contrastare questa “cooperativa rossa” (di sangue) certo non mancano in tutta Italia.
Una delle banche più implicate nel finanziamento della CMC – 28 milioni di euro solo nel 2011– è la BIIS (Banca Infrastrutture Investimento e Sviluppo – un nome, un programma), braccio operativo di Intesa San Paolo nelle Grandi Opere. La BIIS, tra l’altro, è anche azionista di COCIV, il contraente generale per i lavori al Terzo Valico sulla linea ad Alta Velocità Milano-Genova, dove di recente si è aperto un altro importante fronte di lotta NO TAV.
Intesa San Paolo, oltre ad aver finanziato con quasi un miliardo di euro la NTV (la società dei nuovi treni veloci di Montezemolo e Della Valle), è di fatto la banca di questo “governo tecnico”. Il ministro per lo sviluppo economico e per le infrastrutture e trasporti, Corrado Passera, è l’ex amministratore delegato di Intesa e il principale artefice della fusione con la San Paolo. Il ministro del lavoro, Elsa Fornero, è l’ex vicepresidente della Compagnia San Paolo (il nuovo presidente è… Sergio Chiamparino). Il vice ministro alle infrastrutture e ai trasporti, Mario Ciaccia, è l’ex amministratore delegato e direttore generale della BIIS. Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione, è l’ex rettore del Politecnico di Torino, cioè uno dei firmatari della convenzione tra Intesa San Paolo e Università cittadina. Un bel quadro di famiglia.
Altro aspetto significativo che renderebbe piuttosto efficace concentrarsi su Intesa San Paolo è il fatto che questa banca si sta letteralmente mangiando Torino. Intesa San Paolo detiene infatti il debito della città, parte del quale, in base alle nuove normative architettate apposta, sarà rimborsato sotto forma di cessione di edifici pubblici e di terreni di cui è possibile cambiare la destinazione d’uso. Insomma, un gigantesco affare costruttivo e speculativo che sta cacciando la povera gente dai quartieri e aumentando ancora di più gli affitti, in una città in cui una famiglia su cento è ormai a rischio sfratto.
Ma esistono delle responsabilità ancora più dirette. Uno degli “enti strumentali” in cui si articola la Compagnia San Paolo è il SiTi (Sistemi Territoriali per l’Innovazione), incaricato della logistica del polo di Orbassano (crocevia tra il Terzo Valico e il TAV Torino-Lione) e del passante ferroviario ad alta velocità di corso Marche.
La cordata CMC-Intesa San Paolo rivela bene le ragioni reali del fronte Sì TAV ed esemplifica, in particolare, il coagulo di interessi tra PD e governo Monti.
A differenza della CMC, Intesa San Paolo ha le proprie filiali ovunque, anche nel paesino più sperduto, il che darebbe alla solidarietà un ottimo terreno di convergenza pratica: chiunque, anche con piccole iniziative, potrebbe dare il proprio contributo.
Lo abbiamo visto nella settimana dopo l’“incidente” di Luca: avere un’indicazione facilmente riproducibile dappertutto ha dato al movimento una notevole potenza.
Ma la ragione non è solo logistico-territoriale, bensì sociale. Le banche, in questa fase storica, godono di una vasta ostilità (al pari dell’Agenzia delle Entrate e di Equitalia), per cui una parte delle campagne contro le ditte dedicata a Intesa San Paolo collocherebbe il movimento NO TAV nello spazio che sempre più gli si addice: quello di un movimento generale. In particolare nel caso di Torino, dove si potrebbe oltrepassare l’ambito della solidarietà e del sostegno alla Valle che resiste per trovare un elemento comune tra le classi povere cittadine e i valligiani NO TAV. Insomma, tutto quello che davvero spaventa i tecnocrati al governo, i quali fanno di tutto perché in questo paese non si sviluppi un movimento generale.
Il fatto poi che sia un movimento come quello NO TAV a farsi promotore di simili iniziative limiterebbe senz’altro il rischio che il discorso contro le banche acquisti caratteristiche strumentali e reazionarie (il denaro non come base di un intero sistema sociale, ma come monopolio di potenze occulte, ebraiche o comunque straniere) , come sta purtroppo avvenendo in altre parti d’Europa.
E intanto, se la seconda banca italiana smettesse di finanziare la CMC (i banchieri in fondo pensano ai profitti e a come continuare a farne), le truppe di occupazione in Clarea fallirebbero in uno dei loro ruoli fondamentali: garantire, con i CS, le recinzioni e il filo spinato, i finanziamenti all’opera.
Chiomonte, 6 agosto 2012