di Ivan Cicconi 12 ottobre 2012
Perché una manifestazione nazionale contro una grande impresa? Me lo sono chiesto, perché è una cosa insolita ed è la prima volta che questo accade nel nostro Paese, fuori dal normale confronto contrattuale fra la proprietà ed i dipendenti di una azienda.
Il perché evidenziato nel manifesto di convocazione della manifestazione di domani, 13 ottobre, a Ravenna è stato sintetizzato con la firma degli organizzatori: “Individui e realtà in lotta contro nocività e devastazione dei territori” e con la dichiarazione di una volontà e di un impegno: “Lottiamo per la terra e la libertà“.
Nel mondo delle imprese, ed in quello dei vassalli della finanza e della politica, non sono in pochi a produrre inquinamento e devastazione del territorio.
Perché allora manifestare proprio contro una grande impresa come la CMC?
Il mio perché, quello più importante e dal quale derivano tutti gli altri, e che penso abbia spinto gli organizzatori a promuovere questa iniziativa, è uno solo: Perché la CMC è una cooperativa.
Perché l’articolo 45 della nostra Carta Costituzionale “…riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualita’ e senza fini di speculazione privata.”
Perché la socialità e la mutualità sono state alla base della volontà e delle esigenze che hanno spinto i 35 operai che il 7 marzo del 1901 a Ravenna davanti il notaio Giuseppe Pirazzoli hanno costituito la “Società anonima cooperativa fra gli operai muratori e manovali di Ravenna”.
Perché quei 35 muratori e manovali non avrebbero mai immaginato, e tollerato, che la loro Cooperativa scegliesse di lavorare in un cantiere presidiato e difeso dall’esercito contro la volontà di un’intera valle in Val di Susa. O scegliesse di essere partner di una impresa scatola vuota per realizzare opere inutili e devastanti come il ponte sullo stretto di Messina. O scegliesse di lavorare nelle basi militari di Vicenza, contro la volontà un’intera città, o nella base militare di Sigonella dopo l’assassinio di Pio La Torre che contro quella base si era battuto.
Perché il mercato è fatto di scelte e scegliere più di ogni altra impresa di proporsi sempre e comunque, con lucido cinismo, per realizzare le opere più controverse offrendo all’arroganza dei committenti la possibilità di avere all’occhiello il fiore dell’impresa cooperativa, inquina e devasta non solo il territorio.
Perché la memoria di quei 35 operai è offesa da una burocrazia senza valori, guidata dal pensiero unico dell’affare per l’affare, da un rapporto neutro col mercato, da scelte che con il sociale non hanno più nulla a che fare.
Perché in tutti i documenti di bilancio di questa impresa, dal 2005 al 2010, il Tav in Val di Susa è solo una cifra del portafoglio ordini: 84,3 milioni di euro. Mai una parola, mai un minimo accenno alle drammatiche vicende che hanno contrassegnato la storia di questo cantiere virtuale, per il quale, nel 2011 ancora falsamente definito “Cunicolo Esplorativo di Venaus”, si millantava una esecuzione del 7% dei lavori.
Perché spero che la storia gloriosa di questa cooperativa non venga ancora infangata dai burocrati che ne occupano le leve del comando e ne stanno cancellando le finalità ed i valori per la quale è nata.