Nel pubblico interesse

di Marco Revelli (Storico e sociologo, professore all’Università del Piemonte Orientale – nella foto di Simona Zuny all’assemblea del Movimento No Tav – Terzo Valico del 5 Aprile a Novi Ligure)

«NO ALLO spreco di denaro pubblico ». Questo, come si apprende da Repubblica, era il testo dello striscione esposto dai manifestanti che il 10 luglio a Trasta si opponevano all’esproprio dei terreni per i cantieri per il Terzo valico. Sono ora indagati per «interruzione di pubblico servizio» oltre che per «resistenza a pubblico ufficiale». E ciò che colpisce in questa vicenda — oltre alla sproporzione nel rapporto tra atto compiuto e reazione giudiziaria, dal momento che la «resistenza» si era materializzata in una semplice catena umana senza il minimo atto di violenza — è il ricorso di quel termine impegnativo: «pubblico». Su entrambi i fronti: da una parte lo spreco di denaro pubblico denunciato dai manifestanti, dall’altra il richiamo al servizio pubblico nella fattispecie di reato oggetto della denuncia e il ricorso a ufficiali pubblici per reprimerlo. Qualcosa si deve essere rotto nel nostro linguaggio e nel nostro senso comune. Qualcosa che ha a che fare con l’idea stessa dell’interesse generale e del nostro essere comunità. E che la logica delle grandi opere, in particolare della cosiddetta Alta velocità, mette drammaticamente in evidenza.

DA ANNI le popolazioni delle zone interessate dallo scempio che queste opere determinano denunciano l’immenso spreco di denaro ad esse connesso, la devastazione del territorio (si pensi alla Val Clarea, in Val di Susa, trasformata da verde giardino in un cratere lunare), la pericolosità per la salute (presenza di amianto e sua dispersione nell’ambiente). Da anni le autorità politiche a tutti i livelli (provincia, regione, stato, tranne i comuni che in numero crescente si oppongono) proseguono imperterrite, sorde a tutti gli argomenti, anche a quelli più scientificamente fondati (come gli studi costi-benefici o le analisi dei flussi di merci in costante diminuzione) e indifferenti alla dimensione aberrante dei costi (quando non complici di tale crescita senza controllo). Non è un segreto che in Italia il costo per chilometro dell’Alta Velocità è di circa il 4/500 per cento superiore a quello degli altri Paesi: per la Torino-Milano, ad esempio, su un percorso senza neppure un tunnel, e dove, guarda caso, general contractor era la Fiat, i costi iniziali sono cresciuti di più di sei volte.
È lecito chiedersi: chi, in queste circostanze, difende l’interesse pubblico? Chi ciecamente, per partito preso o per interessi (o precedenti impegni) non dichiarabili pubblicamente persegue in un errore? O chi cerca di evitarlo? Chi ignora dati e cifre evidenti, o chi le porta a conoscenza di tutti? E d’altra parte, che cosa c’è di «pubblico » in un «servizio (l’esproprio, appunto) che di utile sembra aver solo il guadagno che le grandi ditte appaltatrici (sempre i soliti, i Gavio, i Ligresti, Impregilo, Cmc di Ravenna…) otterranno?
Ci mancano gli strumenti per ricondurre alla ragione l’ordine di un discorso che sembra smarrirsi nella contrapposizione sorda e nelle logiche giudiziarie. Ci mancano le voci per riportarci alla realtà delle cose.
Voci come quella di don Andrea, che proprio qui a Genova ci ha insegnato a guardare e capire, con la dolcezza del rispetto umano e l’intransigenza nella ricerca della verità.

Tratto dalla rubrica “Sulle orme di Don Gallo” del quotidiano “La Repubblica”

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