La costruzione del “nemico No Tav”

La costruzione del “nemico No Tav” da contropiano
di Dante Barontini

La costruzione del “nemico” è parte integrante dell’arte di governo. Il problema serio è quando diventa l’unica attività di un governo, o come vogliamo chiamare quello attualmente installato a Palazzo Chigi.
Le stesse persone – o come le vogliamo chiamare – che hanno obbedito agli ordini di un ambasciatore kazako accampatosi negli uffici ai piani alti del Viminale hanno rovesciato tutta la propria residua capacità di “fermezza dello Stato” contro 500 manifestanti in Val Susa. Lo scarto è incommensurabile e dà la misura del livello “bassino” – o come lo vogliamo chiamare – di come venga intesa, negli apparati ma soprattutto nell’esecutivo, la qualità dell’essere Stato: un manganellatore del dissenso, ma con le brache calate davanti ad “interessi superiori”.
La cronaca degli scontri nella notte tra venerdì e sabato è ormai nota. Ci soffermiamo oggi sulle “reazioni” – sia dei politici che dei media – per evidenziare le modalità della “costruzione del nemico”. Il quale, visto il livello della dignità del potere, deve naturalmente essere piuttosto piccolo. Ma ciò nonostante risulta incomprimibile.
Abbiamo scelto qui quattro articoli dai giornali di oggi per dare plasticamente la ben scarsa articolazione degli argomenti. Diciamo che il “pluralismo”, in questa sequenza, è ormai scomparso. Come se al governo delle “larghe intese” corrispondesse un messaggio mediatico totalitario; ripetuto però da diverse fonti per dare, appunto, l’impressione della “varietà” e restituire il senso di un “coro”. Di condanna.
Gli abitanti della Val Susa e gli attivisti solidali che ne condividono la lotta vengono dipinti come un mostro violento, anche quando – come in questo caso – la “battaglia” era stata chiaramente preparata da parte delle forze militari di occupazione posizionate in valle (basta leggere i ricorrenti accenni al “cambio di strategia” messo in atto dal Viminale). Per di più, stavolta si sono posizionati in campo aperto anche due magistrati della Procura di Torino, cancellando di fatto anche la pretesa formale di “terzietà” che la magistratura inquirente dovrebbe rappresentare rispetto ai fatti.
Due parole in merito vanno spese. Che uno o più magistrati partecipino a perquisizioni e arresti è normale. Ma si tratta per l’appunto di “operazioni di polizia” che concludono un percorso di indagine su un reato consumato e constatato un certo tempo prima. La presenza dei magistrati in Val Susa è invece palesemente “preventiva”. Il “reato” ancora non c’è, ma potrebbe “ragionevolmente” verificarsi (la manifestazione No Tav era stata annunciata una settimana prima); quindi vanno sul campo – protetti ovviamente da quelle stesse “forze dell’ordine” che dovrebbero invece essere uno dei tanti soggetti implicati nella possibile commissione di “reati” (con la storia che abbiamo alle spalle in Italia, non è affatto un pregiudizio pensare che il comportamento di piazza degli agenti, per non parlare di quel che avviene in commissariati e caserme, possa configurarsi come reato anche gravissimo; dalla tortura all’omicidio).

Insomma: i “magistrati combattenti” non sembrano il massimo quanto a verifica puntuale e imparziale delle violazioni di legge. Ma questa è la scuola di Giancarlo Caselli, dagli anni ’70 in poi. E Rinaudo è certamente uno dei più longevi “militanti” di questa particolarissima interpretazione del ruolo inquirente. “Toghe di polizia”, prolungamento giudiziario del potere esecutivo al pari di quello poliziesco, non certo le temute “toghe rosse” di cui parla sempre Berlusconi.
Basta dare una scorsa al Giornale, del resto, per vedere che contro i No Tav non ci sono differenze apprezzabili tra la Procura di Torino e i gazzettieri del Cavaliere. Né con i vertici del Partito democratico. Lo scomposto deputato Stefano Esposito, casualmente esponente del Pd (anche se parla come Borghezio) batte tutti: “E’ sempre più chiaro come l’opposizione al treno – aggiunge – non c’entri più nulla con le violenze messe in campo da questi delinquenti, la loro è una battaglia allo stato e come tale va repressa, senza esitazione alcuna”. Arrivando persino a chiedere arresti mirati: “Mi chiedo come mai Francesco Richetto, vero mandante reo confesso dell’assalto di questa notte, possa rimanere a piede libero in un paese come l’Italia. Se vogliamo debellare questa forma di guerra allo Stato dobbiamo “decapitare” i mandanti politici e le organizzazioni che li sostengono”. Chissà se ha già pronta la scimitarra talebana per eseguire le “decapitazioni” che gli attraversano la mente…
Ovviamente sullo stesso fronte anche il quotidiano di casa Fiat, che ci fa il dubbio onore della citazione tra i media del “campo avverso”. Leggeteci pure, potreste imparare qualcosa. Su come fare giornalismo dignitosamente, magari.
In nessun articolo, tra le centinaia che abbiamo censito, si fa il minimo cenno al “merito” della vicenda Tav. Nessuno si chiede se l’opera abbia mai avuto una prospettiva di utilità sociale od economica, a parte l’ovvio guadagno per le imprese che la costruiscono. Specie ora che la Francia ha rinviato al 2030 – al duemilatrenta! – ogni decisione sul completamento del tunnel dalla propria parte.
Nessuno si chiede, insomma, perché mai “lo Stato” dovrebbe schierare migliaia di uomini, spendendo cifre non certo irrilevanti, per “difendere” un cantiere che non serve a un tubo, in cui si fa finta di costruire un tunnel che non porterà – per i prossimi venti anni almeno – da nessuna parte; per un traffico merci che non esiste oggi e non esisterà nel prevedibile futuro (già ora, sulla linea di Modane, che attraversa la Val Susa sul versante di Chiomonte, il traffico risulta in progressiva diminuzione da oltre un ventennio).
Nessuna domanda. Soltanto un “nemico”, i residenti resistenti e che porta loro la propria solidarietà restituendo a questo paese il senso di una dignità che, ai piani alti dei palazzi del potere, sembra definitivamente scomparsa. Se mai vi è passata attraverso.

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