di Marco Revelli (Storico e sociologo, professore all’Università del Piemonte Orientale – nella foto di Simona Zuny all’assemblea del Movimento No Tav – Terzo Valico del 5 Aprile a Novi Ligure)
«NO ALLO spreco di denaro pubblico ». Questo, come si apprende da Repubblica, era il testo dello striscione esposto dai manifestanti che il 10 luglio a Trasta si opponevano all’esproprio dei terreni per i cantieri per il Terzo valico. Sono ora indagati per «interruzione di pubblico servizio» oltre che per «resistenza a pubblico ufficiale». E ciò che colpisce in questa vicenda — oltre alla sproporzione nel rapporto tra atto compiuto e reazione giudiziaria, dal momento che la «resistenza» si era materializzata in una semplice catena umana senza il minimo atto di violenza — è il ricorso di quel termine impegnativo: «pubblico». Su entrambi i fronti: da una parte lo spreco di denaro pubblico denunciato dai manifestanti, dall’altra il richiamo al servizio pubblico nella fattispecie di reato oggetto della denuncia e il ricorso a ufficiali pubblici per reprimerlo. Qualcosa si deve essere rotto nel nostro linguaggio e nel nostro senso comune. Qualcosa che ha a che fare con l’idea stessa dell’interesse generale e del nostro essere comunità. E che la logica delle grandi opere, in particolare della cosiddetta Alta velocità, mette drammaticamente in evidenza.
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