Una giornata che ognuno ricorderà a suo modo, che evocherà in ciascuno di noi sentimenti diversi sicuramente, ma che indubbiamente non potrà che lasciare il segno.
Due ore e mezzo di macchina e in un attimo siamo a Venaus.
Incredibile come sia palpabile la differente aria che si respira, il presidio appare stanco, stremato dagli anni di lotta, dalla repressione, ma comunque c’è e c’è la sua gente: ci sono le donne in cucina che “spignattano”, ci sono gli uomini che accolgono, che si occupano della polenta..saremo tanti oggi, è l’8 dicembre.
Scritte “NO TAV” spuntano in luoghi impossibili, i valsusini non devono avere molti problemi di eterogeneità e sensibilità diverse nel movimento: all’ingresso del presidio c’è l’icona della Signora delle Cime che ci accoglie con la scritta “Proteggici”. Prima barricata.
Scrutiamo il territorio, la sua gente, entriamo nel presidio e ti prendi già una bella sberla di vita vissuta che passa tra quelle piccole quattro mura: materassi, libri, volantini, utensili, televisione, bandiere lacerate ma che sventolano ancora..ci sono uomini, donne, bambini che giocano, giovani e anziani ognuno con la sua storia, ognuno con le sue rughe, ognuno con i suoi segni di una lotta che tenta quotidianamente di logorarti nel fisico e nello spirito.
Ho sempre pensato che un presidio permanente fosse completamente inutile qui da noi (accanendomi anche con chi lo proponeva), dieci minuti in quello di Venaus sono stati sufficienti per farmi rendere conto di quanta vita ci sia dietro un movimento, di quanto ci sia bisogno di condivisione, di quanto sia fondamentale lo stare insieme.
Probabilmente qui sarebbe molto difficile da realizzare, ma intanto gli orizzonti si allargano e male non fa mai. Seconda barricata.
Polenta squisita, buon vino, formaggi: un pranzo all’aria aperta in mezzo ai monti..e quando mai capita?
Dopo pranzo si parte per Giaglione, è l’8 dicembre: ci sarà una marcia pacifica in Clarea e si va, ricongiungendo finalmente un altro pezzo di genovesi (perchè al “si parte e si torna insieme” bisogna continuare a crederci!).
Inizia un corteo a cui non siamo assolutamente abituati: la strada asfaltata diventa un sentiero di montagna, si marcia nel fango, il percorso è stretto (e scivoloso), bambini (non pochi), anziani, una banda che suona, cani che scodinzolano qua e là. Ci fermiamo.
Un ostacolo di ferro e cemento inaspettato nel percorso è una cosa a cui io non sono assolutamente abituata.
La naturalezza con cui lo oltrepasso nemmeno. Terza barricata.
Improvvisamente il paesaggio di montagna si trasforma e ci ritroviamo alle spalle di un cantiere: cemento, ruspe, camion completamente in mezzo ai monti. Non ci sta, non ci sta proprio.
Proseguiamo, si torna nel bosco, ci sono casette, c’è un mondo fermo, silenzioso e abbandonato.
C’è un torrente di montagna e c’è un altro ostacolo che, questa volta, blocca definitivamente la nostra marcia: è la Repubblica Italiana che si sente in dovere di farlo, sono tanti, troppi, sono preparati, sono in tenuta anti-sommossa: paura, indignazione, rabbia, tristezza, rassegnazione.
Ed è proprio qui che c’è un altro grande, potente e glaciale bagno di verità, quello che non puoi capire guardando un telegiornale..quello che ti lascia con un senso di ingiustizia e impotenza infiniti, un boccone amaro..amarissimo, ma che sai bene che non puoi fare altro in quel momento che digerirlo e cercare di farlo digerire agli altri. Quarta barricata.
“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale…” scrissero i nostri padri costituenti.
No, non è proprio così: c’è un’Italia militarizzata e c’è della gente stremata che continua a lottare armata solo della forza che può provenire da questi monti.
E noi che lo abbiamo visto con i nostri occhi e udito con le nostre orecchie abbiamo il dovere di testimoniarlo a ogni costo.
Siamo tanti, siamo diversi..i sentimenti si mescolano (le azioni pure) e ora l’esigenza dello stare insieme è più forte di ogni altra, ci ritroviamo attorno a un tavolo a cenare, ci ritroviamo noi: con le nostre risate, con le nostre dinamiche indecifrabili, con le nostre spinte interiori che ci fanno prendere coscienza che ieri non potevamo essere in nessun altro posto se non lì, perchè tutto serve, perchè ogni passaggio è necessario, perchè c’è qualcosa in cui crediamo che è tutto da costruire nelle nostre case e nelle nostre strade.
Si torna a casa, la novità è che tocco il sedile della macchina e resisto (non senza fatica) incredibilmente al sonno e parlo, parlo, parlo..un’altra piccola barricata personale attraversata, se vogliamo.
Dire GRAZIE a chi era con me è estremamente riduttivo, dire che “partire e tornare INSIEME” è fondamentale.
Ed è quello che più spesso continuerò a ripetere ogni volta che mi troverò davanti a una barricata da attraversare.
Simona, comitato no tav terzo valico Pontedecimo e San Quirico